Pubblicato da: carlas73 | 9 novembre 2015

Udienza papale

Questo sarà un post minimalista e minimale: serve solo per avvisare le persone che seguono questo blog e probabilmente sono famiglie con un caso di Hirschsprung che l’associazione sta organizzando un’udienza dal Papa.
Chi fosse interessato a partecipare può contattare la presidentessa dell’associazione Marinella Muggeo, che può essere contattata in vario modo (Facebook, o al recapito telefonico pubblicato sul sito dell’associazione Amici di Francesco). In extrema ratio, potreste anche far sapere me e troverò il modo di mettervi in contatto.

Pubblicato da: carlas73 | 5 marzo 2015

Due passi

Negli ultimi anni mi sono ritrovata catapultata, mio malgrado, nella disputa maschio-femmina, essendo ormai genitrice anche di un’esemplare femminile, e come direbbe qualcuno di mia conoscenza “ognuno ha la sua storia particolare… i tuoi poi più di altri”, ovviamente riferendosi alla mia variegata prole, e mi perdoni se metto in mezzo ai miei post le nostre conversazioni, ma mai frase mi ha colpita di più di questa per la sua veridicità.
Ebbene sì, i miei pargoli hanno ambedue per versi diversi storie molto particolari e vicissitudini che hanno a vario titolo ed in differenti modi influenzato i loro modi di essere ed i loro caratteri, ma comunque dopo quasi 3 anni di vicinanza ed osservazione della gnoma sotto il mio tetto posso dire che mai titolo di libro fu più azzeccato del “Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere”, con tutto che non so di cosa parli.
Perché i miei due figli sono diversi, diversissimi: in parte perché, come detto prima hanno due storie diverse e ciascuna delle due assolutamente particolare, molto perché appartengono alle due facce della luna e si vede. Ad oggi, con quattro anni e mezzo di differenza, il nano di 9 anni vive nel mondo astratto e surreale, la gnoma di 4 e mezzo ha i piedi talmente tanto piantati per terra che ogni concetto astratto sembra le faccia una fatica immane. Lui è appassionato di qualsiasi racconto e di qualsiasi mezzo che racconti (libri, cinema, teatro), lei spesso non riesce a seguire Peppa pig e si annoia a guardare Cenerentola o non ricorda la lettura di un racconto di più di due pagine. Lui non riesce a fare un’attività che sia una da solo, concentrandosi e liberando la sua fantasia, lei sta ore a chiacchierare con le sue bambole e peluche inventando storie, facendo finta di leggere libri e cucinandogli. Lui è un cucciolone affettuoso, anche mammone se vogliamo, che ha mille diversi modi di dimostrare il suo affetto, lei si mantiene per lo più distaccata ed affettivamente fredda a meno degli istanti salienti e consuetudinari, per poi chiedere attenzione e lo sguardo nostro su di sé anche e soprattutto nei momenti meno opportuni. Lui solo ora sta raggiungendo una vaga autonomia pratica nel lavarsi, vestirsi, aiutare in casa ed in tempi non biblici, lei praticamente da quando è arrivata con noi è un universo avanti nel fare e nel pretendere di fare tutto da sola, tanto che spesso si attarda la mattina perché vuole piegare il pigiamino. Lui ha da sempre avuto una mentalità prettamente matematica ed una curiosità precoce e singolarmente vasta a coprire ambiti i più disparati possibile, lei fa ancora fatica a contare fino a 10 e non ha alcuna curiosità quasi nei confronti di nulla, o comunque dobbiamo ancora scoprire cosa stuzzichi la sua. Lui all’età della gnoma adesso faceva ancora fatica ad esprimere frasi e pensieri complessi e linguisticamente elaborati, lei ancora sconvolge amici ed estranei per la sua proprietà linguistica anche se come già detto si limita a ciò di cui ha esperienza e quando cerca di sollevarsi in voli pindarici esprime concetti molto poco chiari. Lui ha sempre affrontato le sue estenuanti esperienze sanitarie in modo più che stoico, pur essendo un bambino normalmente capriccioso, lei si dimostra estremamente lagnosa e con poca sopportazione per qualsiasi tipo di malanno, nonostante non sia assolutamente capricciosa.

Si dice sempre che un genitore non dovrebbe fare confronti tra i propri figli, ma credo anche che sia la cosa più naturale del mondo, e nel caso specifico so che è un modo per darmi un obiettivo nell’educazione emotiva, psicologica e cognitiva della gnoma, pur sapendo che la stanghetta per molti aspetti è ad un livello eccessivamente elevato perché possa essere raggiunta facilmente. I due in questione hanno obiettivamente due passi differenti sotto tanti aspetti e per svariati motivi: speriamo solo di riuscire a ridurre la differenza dei passi nei prossimi anni.

Pubblicato da: carlas73 | 4 dicembre 2014

“Dio perdona, Scopelliti no”

Questa era la frase con cui sono stata accolta, nell’allora Liceo Scientifico dove mio padre da poco aveva ottenuto il trasferimento, alla tenera età di 4-5 anni da un gruppetto di “giganti” di 16-17. Questo era quello che si diceva di mio padre, quando insegnava Matematica e Fisica al triennio del Liceo di quartiere, ed era la diretta conseguenza di quello che lui diceva dell’insegnamento e dei voti: “i voti vanno da 0 a 10” e sì che nella mia infanzia ed adolescenza ne ho visti di compiti corretti a casa su cui fioccavano voti improbabili come 2– ed 1+, ma ricordo anche quando rarissimamente ho visto 9 o 10 e mio padre che felice diceva “eh si, se lo merita perché mi ha trovato una soluzione al problema che io non avevo pensato”.
Vignetta papà Qui accanto una vignetta disegnata da qualche suo alunno, sufficientemente sicuro di sé da consegnargliela: l’ho ritrovata ad agosto rovistando tra i suoi libri di testo, prima di lasciarglieli come compagnia per il suo ultimo viaggio.
Lui era un insegnante anche a casa: severo, rigido, ma anche inaspettatamente disponibile ed aperto di mentalità. A lui ci rivolgevamo quando arrivate al liceo si cominciò a parlare di gite con pernottamento fuori: stranamente, dalla figura maschile della famiglia, arrivavano le autorizzazioni alle esperienze nuove, alle idee più innovative e più azzardate per due figlie femmine degli anni ‘70. Mio padre mi ha preparato tutte le volte che ho dovuto ripetere Matematica Generale I all’università, e quando non riuscivo a superarla mi diceva “sei l’alunna più preparata che io abbia avuto nello studio di funzioni”. Anche se poi, qualche anno dopo, quando ad un esonero di Politica Economica non ebbi un voto decente, mi propose di trasferirmi da La Sapienza all’università de L’Aquila (ma io, orgogliosa tanto quanto lui, non accettai).
Una persona seria e tutto d’un pezzo, ma anche inspiegabilmente giocherellone e scherzoso. Da piccole, la domenica mattina era dedicata ai giochi sul lettone dei miei, e lui nonostante la bassa statura tipica da uomo del sud, aveva una tale forza che con un solo braccio riusciva a bloccare le sue tre donne senza che potessero muoversi. Lui era una persona affettuosa, nonostante l’aspetto burbero e severo: a suo modo ci coccolava, come quando “rincapuzzava” le coperte del letto, o ci misurava la febbre appoggiando le labbra alla fronte e sapeva esattamente indicare se era 37.5° o 38°.
Nonostante fosse uomo di pensiero e ragionamento, era anche un ingegnere mancato: la cantina è ancora strapiena di tutti i suoi attrezzi con cui aggiustava, inventava, modificava e sistemava tutto quello che figlie e moglie chiedevano e che la sua mente creativa ritenesse utile per la casa e la famiglia. Magari qualcosa di questo suo ingegno fosse passato a me! Ancora rimane inattuata la promessa al nano di creargli un gancio per appendere il bersaglio al tavolo da ping pong.
Un uomo di forti passioni, profondamente colpito dalla guerra e dalla mancanza di libertà del periodo fascista: era rimasta inalterata negli anni la sua ansia di avere sempre il pane in casa, e la sua forte visione politica e storica che mi è stata trasmessa come per osmosi.
Un uomo fondamentalmente sensibile e sentimentale, nonostante la sua immagine ruvida e resistente: ricordo le sue lacrime al mio primo aborto, e quelle dopo alla nascita del nano quando era rinchiuso nel reparto di Chirurgia Neonatale. Sfortunatamente, non mi rimangono molte sue foto di quando eravamo piccole: ce le faceva, ma era restio a farsi fotografare; la migliore degli ultimi anni rimane quella del battesimo del nano, sorridente e felice del nipotino.
Quest’uomo e questi ricordi mi sono stati portati via da una malattia antipatica, che me lo ha reso quasi estraneo nei suoi scoppi d’ira e nella sua inedia finale: una malattia che avrebbe odiato con tutte le sue forze e con tutto il suo orgoglio se se ne fosse reso conto, perché del suo vero io non ha lasciato intatto praticamente nulla, né il suo cervello né i suoi affetti. Ed adesso, mi ritrovo a dover riportare alla luce con fatica le memorie che avevo seppellito durante la malattia perché non mi facessero troppo male e troppa rabbia, per poter ritrovare quella figura che stimavo e rispettavo, il papà a cui volevo bene e che vorrei fosse stato conosciuto dai nipoti per quel che veramente era.

Pubblicato da: carlas73 | 1 ottobre 2014

Meeting Malattia di Hirschsprung

Il 15 e 16 Maggio scorsi si è tenuto a Genova un meeting sulla malattia di Hirschsprung, organizzato dal Gaslini: io sono mesi che comincio questo post e non riesco a concluderlo, lo riprendo, lo rileggo e poi chiudo senza aver concluso e senza esserne soddisfatta al punto da pubblicarlo.
Oggi ci riprovo con un nuovo proposito: raccontare in modo assolutissimamente randomico e personalissimo quel giorno e mezzo a cui ho potuto assistere.
Allora, cominciamo da tutte le info più o meno asettiche e “scientifiche” che a mio modo ho assimilato e che voglio qui riproporre:

  • Sembra che sempre più si utilizzi la laparoscopia come metodo chirurgico, il che mi sembra un’ottima notizia: se fosse stato operato in laparoscopia mio figlio a quest’ora si sarebbe risparmiato l’operazione di aderenze a due anni e mezzo, con tutti i ricoveri che hanno portato a quello. Certo, io non so o comunque non ho capito se la laparoscopia è utilizzabile in tutti i casi oppure se, come immagino, sia assolutamente a discrezione dei chirurghi la scelta a seconda dei casi: magari, se questa tecnica si diffondesse e diventasse una pratica comune nei maggiori ospedali italiani, i genitori avrebbero maggiore consapevolezza di avere a che fare con chirurghi che si mantengono aggiornati.
  • Prima della seconda operazione ci era stato detto “speriamo di poter salvare la valvola ileo-cecale”: durante quei due giorni ho capito che spesso, non si tratta di evidenze univoche dalle biopsie perché si possono verificare delle zone di transizione in cui le cellule nervose sono presenti ma non sufficientemente frequenti o sviluppate. Durante l’operazione, quindi, i chirurghi devono prendere la decisione se possano essere sufficienti per garantire un futuro “normale” oppure no, e spesso quella misura minima può fare la differenza tra salvare la valvola ileo-cecale o meno.
  • Su questo blog ho spesso parlato anche della genetica della malattia e di come molte volte è implicato il gene RET che risiede nel cromosoma 10. La genetica suggerisce che ci siano cause differenti a seconda della forma di malattia: nelle forme lunghe è prevedibile una mutazione genetica connessa ad un gene principale (RET), nelle forme corte potrebbe trattarsi di una causa multifattoriale o un “gene recessivo con penetranza bassa”. In ogni caso, la malattia di Hirschsprung è una malattia multigenica complessa non associabile alla probabilità mendeliana semplice: perché i diversi geni hanno ciascuno un piccolo effetto sul fenotipo e l’accumulo di questi effetti determina la malattia. Le mutazioni del gene RET, poi, sono tutte diverse e questo incide, quindi, sul fenotipo sempre diverso della malattia, ecco perché come io scrivo sempre “ogni bambino è diverso”.
  • Sempre la ricerca scientifica sta facendo ulteriori passi avanti: attualmente, è in corso la sperimentazione sugli animali per la riprogrammazione delle cellule staminali da iniettare in fase post-natale per riparare e riformare le cellule nervose mancanti nella parte di colon malato. Nonostante questa notizia non lo riguardasse particolarmente, visto che ormai è stato operato, ha colpito particolarmente mio figlio, che ha capito l’enorme miglioramento nella vita di bambini e genitori che questa soluzione comporterebbe: chissà tra quanti decenni ne sentiremo riparlare, però!
  • La ricerca genetica per individuare possibili cause di un’incidenza delle enterocoliti finora ha riscontrato che l’elevata variabilità della flora batterica potrebbe essere il fattore discriminante: cioè, un maggior numero di ceppi batterici contribuisce ad evitare lo sviluppo di enterocoliti, così come sembra che la disfunzione del gene RET che è il maggior candidato all’Hirschsprung possa concausare anche la predisposizione per le enterocoliti, ma probabilmente proteggere da altro. Entro l’anno in corso si dovrebbe concludere questo ceppo della ricerca scientifica e dovrebbero essere pubblicati i risultati finali.
  • La ricerca sulle eventuali altre anomalie associate alla malattia ha evidenziato una sottostima generica di queste; inoltre, le anomalie renali sono spesso associate ad anomalie dell’udito ed è quindi necessario uno screening apposito nei casi in cui venga diagnosticata la malattia. Tutto ciò ha portato il Gaslini ad aggiornare il loro iter diagnostico: includendo ecografia renale ed audiometria nelle diagnosi di Hirschsprung. Gli altri ospedali saranno aggiornati?
  • I problemi di continenza dipendono dall’integrità degli sfinteri anali: quello interno involontario e quello esterno volontario, che in alcuni casi possono essere lesionati da tagli eccessivi oppure troppo limitati che lasciano quindi un residuo di malattia. Per risolvere questi problemi, ovviamente, come molti genitori già hanno sperimentato non ci sono soluzioni universali. I consigli principali sono: dieta il più possibile priva di scorie, evacuazione a comando entro i 30’ dai pasti, alimentazione limitata ai pasti principali evitando quindi le merende, spuntini o snack. Ormai mio figlio sono circa due anni che ha una dieta completamente priva di fibre a scuola, le scorie e le fibre le introduciamo solo noi a casa talvolta quando sappiamo che la situazione è piuttosto stabile. Ma da quando sono tornata da Genova, ho comunque messo in pratica sempre più spesso gli altri due consigli, in parte come richiesta da parte mia a Claudio, in parte perché spesso lui stesso evita la merenda pomeridiana: non posso dire che si sia tutto risolto e che adesso vada a meraviglia, ma mi è sembrato di notare dei lievi miglioramenti. Come al solito il consiglio è: provate e decidete se fa al caso vostro!
  • Per la continenza, poi, possono essere valutati diversi tipi di medicinali: qualcuno lo abbiamo provato su mio figlio, altri no; anche in questo caso, sono per lo più medicinali senza grosse controindicazioni (mio marito legge sempre i foglietti illustrativi, talvolta anche prima di comprare un medicinale, per decidere se è il caso di utilizzarlo), quindi forse vale la pena di provarne uno alla volta per un periodo e decidere se e quali fanno al caso del bambino. Ci sono i cosmetici fecali, come la Diosmectite (provato il Diosmectal); gli agenti ispessenti, come le fibre di Psyllium (provato il Psyllogel); gli antidiarroici, come le spore di Bacillus clausii (Gel Enterum), il Gel di idrossido di alluminio, caolino, pectina (Streptomagma), il Loperamide (provato l’Imodium), il Racecatodril (provato il Tiorfix una volta tornata da Genova). Di questi ultimi due, ovviamente l’Imodium è quello con le maggiori controindicazioni, ed infatti anche se era stato prescritto anni fa noi l’abbiamo usato alla bisogna, dopo un primo periodo di uso continuativo in cui abbiamo notato una parziale assuefazione dell’organismo.
  • Lo Sportello Malattie Rare di Genova presenta, ovviamente, un particolare rapporto privilegiato con l’Ospedale Gaslini, con cui ha anche stabilito un protocollo di assistenza per la malattia di Hirschsprung e con cui vengono indirizzati i piani assistenziali individuali necessari al singolo caso. Gli sportelli esistono ovviamente in tutta Italia, sono un’emanazione del Centro Nazionale Malattie Rare: sono stati istituiti intorno al 2008 ma non sono così conosciuti come dovrebbero. Sfortunatamente, sta anche a noi genitori dei piccoli pazienti chiedere ed ottenere che questi funzionino: cercarli, informarsi, chiedere l’iscrizione del proprio figlio/a, chiedere che venga emanato un piano assistenziale individuale che riconosca tutti i medicinali ed i presidi necessari.

Riconosco che lo sforzo fatto dal Gaslini per organizzare un evento simile è stato notevole, così come le ricerche scientifiche a cui molti hanno partecipato come “cavie” e di cui ci hanno presentato i risultati. Non ho avuto, però, sentore di una proposta di coinvolgimento verso tutte le strutture sanitarie che operano nel resto d’Italia e che da questi incontri potrebbero sicuramente apprendere molto: su come gestire i propri pazienti, e come consigliare i genitori che affrontano spesso da soli il post-operatorio, che in alcuni casi diventa anche più difficile e pesante del prima. Credo che sia indiscutibile il primato del Gaslini nella ricerca sull’Hirschsprung e probabilmente anche nella risoluzione chirurgica: questo, però, a mio avviso dovrebbe essere uno sprone per la diffusione della conoscenza, e non per un arroccamento sul proprio terreno. I pazienti e le loro famiglie hanno bisogno di costanti risposte e conforti, che possono essere tanto più efficaci quanto maggiore è il radicamento territoriale: io stessa che non ho particolari legami di tipo economico-sociale ho ritenuto necessario affrontare il tema genetico di mio figlio dopo aver riscontrato che nel mio territorio non erano sufficientemente preparati, ed ho risposto alla “chiamata” alla ricerca sullo screening più per amore per la conoscenza che per effettiva necessità evidenziata da mio figlio; avrei fatto più fatica ed avrei dubitato molto di più se mi fossi dovuta spostare per la cura di mio figlio. Come italiana, pretendo che lo Stato e le Regioni mi propongano se non l’eccellenza sanitaria su tutto il territorio nazionale, per lo meno uno standard qualitativo, decente almeno, che sia il più possibile uniforme, così come mi garantiscano regole e normative che vengano attuate uniformemente dagli uffici centrali così come da quelli locali, senza dover lottare per ottenere che i miei diritti vengano rispettati (vedi pratiche ASL e INPS).
Non ho apprezzato a conclusione di una mia domanda, una battuta un po’ troppo stile berlusconiano: mi auguro che i professionisti sappiano essere tali indipendentemente da chi si trovano di fronte, accettando anzi per una volta le indicazioni che un genitore sa dare. Gli stessi professionisti che ho visto sudare per circa un’ora per tirare fuori una goccia di sangue da mio figlio, dopo che erano stati avvisati della difficoltà con cui gli si fanno i prelievi, gli stessi professionisti che quando ce ne siamo tornati a casa tranquilli che mio figlio non avesse altre anomalie associate sembravano quasi un po’ dispiaciuti che gli avessimo scombussolato i risultati della ricerca. Sfortunatamente, troppe volte sono stata dalla parte di quelli che non vengono ascoltati, di quelli che sono soggetti al pregiudizio perché troppo ansiosi o troppo menefreghisti, di quelli che qualunque cosa gli altri decidano ricade sulla loro pelle e su quella dei loro figli e preferirei che i medici con cui mi confronto presentino almeno la capacità di ascolto che pubblicizzano tanto orgogliosamente.

Pubblicato da: carlas73 | 14 novembre 2013

Il primo amore

Stamattina mi sono ricordata della prima lettera d’amore ricevuta alla scuola media: in realtà, come lettera d’amore era un po’ oscena, e non era neanche troppo vera, visto che sicuramente era uno scherzo di cattivo gusto di qualche compagna/o che conosceva il mio debole per quel ragazzino. Tant’è vero che, se non ricordo male, l’appuntamento fissato era per il pomeriggio di un 1° Aprile di tantissimi anni fa: allora, come oggi, non ho mai dubitato della falsità di quella lettera, così come dell’impossibilità che quel mio sentimento fosse corrisposto. Ma sia allora che oggi avrei voluto avere il coraggio di affrontare quel ragazzino: guardarlo negli occhi e dirgli che la corrispondente lettera che probabilmente aveva ricevuto da parte mia non era farina del mio sacco, non avrei saputo esprimere quello che provavo e sicuramente non mi sarei espressa con lo stesso linguaggio usato nella lettera di cui lui doveva essere il mittente e che ipotizzavo fosse usato in quella in cui io risultavo come mittente.
Insomma, di tutto il contorno non ricordo molto: chi secondo me fosse implicato nello scherzo e perché, ma ho vivido il ricordo di quanto cercassi di sforzarmi per incrociare il suo sguardo, avere la forza di salutarlo e non riuscirci perché la mia timidezza e la mia paura di essere lo zimbello collettivo di un intero gruppo mi metteva a disagio, così come mi metteva a disagio rileggere quelle parole che erano eccessivamente adulte per dei ragazzini di scuola media di più di 30 anni fa.
Ed ho pensato che vorrei che non capitasse niente di simile ai miei figli, e non solo alla femmina, che comunque a quell’età sarà ben più scaltra della madre e saprà gestirsi i rapporti in modo molto più sereno di quanto facessi io, ma soprattutto al maschio che sento molto affine nelle sue timidezze e nella discrezione dei suoi sentimenti: è feroce sapere di sembrare qualcuno o qualcosa che non si è e non avere il coraggio e la forza di dichiararsi apertamente per quello che si è, nel bene  e nel male. So che non mi posso aspettare questa consapevolezza e libertà di pensiero nella fase adolescenziale, ma mi auguro di poter essere per loro una cartina di tornasole anche in momenti simili, visto che io al contrario non me la sono sentita di chiedere aiuto in tale circostanza. Non voglio essere un’amica, ma vorrei essere un adulto con cui discutere e ragionare, in modo che poi possano trovare da soli le loro soluzioni, superando tutti i miei eventuali pregiudizi e timidezze.

Pubblicato da: carlas73 | 31 ottobre 2013

Il fantastico mondo del celiaco

Si comincia un nuovo filone: non certo una nuova pagina del blog, ma sicuramente si aggiunge un tag che ricorrerà sempre più spesso su questo blog.
Dopo 9 mesi di incertezza, preoccupazione e depressione per i continui malesseri del nano (diarrea liquida verde, vomito, mal di pancia), in cui i medici ci hanno costretti a riempirlo di antibiotici per loro disinteresse ed incapacità, in cui ha perso prima 3kg e poi li ha faticosamente riguadagnati senza crescere in un anno né di peso né di altezza, a Marzo siamo finalmente giunti a nuove diagnosi, dopo un ricovero di circa un mese: da una parte la celiachia, che ha un’importanza fondamentale sul suo equilibrio attuale, dall’altra la sindrome della pinza aorto-mesenterica. Quest’ultima, causata principalmente nel nano dal dimagrimento collegato allo scatenarsi della celiachia, il tutto in combinazione con il nostro viaggio in Colombia per la gnoma: questo perché se le cose sono semplici noi non le vogliamo.
Ed adesso, veniamo alle note dolenti: sempre più spesso sento dire in giro “per fortuna che ormai c’è molta più disponibilità di prodotti senza glutine”, sia da non celiaci che da celiaci. Non voglio confrontare il momento attuale con 10 anni fa o anche meno, anche perché non avrebbe senso e sono troppo ignorante a riguardo, ma quello che ho notato è, comunque, la consistente limitazione che si ha in questa condizione, soprattutto per la propria vita sociale ed un eventuale desiderio di viaggiare e stare fuori casa.
Ormai sono passati più di 6 mesi dalla diagnosi e, quindi, il nano si è assestato abbastanza, ma il suo equilibrio rimane sempre più sul filo del rasoio soprattutto quando si cambia aria e si va in viaggio, poiché alla condizione di Megacolon operato si è affiancata la celiachia e su questo dovremo lavorarci organizzandoci in modo più adeguato portandoci scorte di fermenti lattici e di Imodium. In ogni caso, proprio in occasione dei viaggi estivi mi sono resa conto di come la condizione del celiaco comporti poca libertà: per essere sicuri conviene cercare alberghi e ristoranti che siano certificati, in caso contrario bisogna sobbarcarsi la fatica di portarsi la “sportina” con le cose da mangiare, se non addirittura in taluni casi il ristorante ti consiglia di portare anche la pentola per cucinare. Il rischio di contaminazione è sempre lì dietro l’angolo: da come cucinano la carne, “chissà magari sulla piastra mettono anche il pane per le bruschette”, a come grattugiano il parmigiano per la pasta “usano la stessa per fare il pangrattato?”. Una cosa è sapere come fai le cose tu a casa, dentro le tue quattro pareti, ed un’altra è avere il dubbio quando vai a cena fuori e come genitore non te la senti di rischiare la salute di tuo figlio. E poi, stare un’intera giornata fuori, magari in giro per una città?!?!?! Beh, preparati bene perché tanto un pezzo di pizza al taglio o un panino è impossibile e se stai in albergo come fai a preparartelo? Per poi arrivare al colmo opposto per cui se prenoti in pizzeria per 3 celiaci, tutti loro devono mangiare la pizza perché hanno scongelato l’impasto senza glutine, che invece non è disponibile se al momento della prenotazione non comunichi la presenza del celiaco di turno!
Insomma, non è così semplice come molti la fanno, perché viverla è un’altra cosa e quello che manca è la libertà di poter scegliere: certo, puoi scegliere di rimanertene a casa e non stuzzicare e liberare la curiosità, riempirti il cuore e la testa di immagini, suoni, colori e odori diversi. E noi, seppur con ancora più fatica di prima, abbiamo deciso di non privarci e privare nano e gnoma di questa possibilità di crescita e di scoperta del mondo.

Pubblicato da: carlas73 | 21 febbraio 2013

Rispettare i figli

Alcune volte succede che ci si attarda davanti alla scuola per delle chiacchiere tra mamme e la situazione spesso fa scaturire considerazioni e riflessioni alle mamme che più si domandano intorno a sé, ed ai loro metodi: quelle mamme che si interrogano se siano brave mamme, se possano migliorare e quanto, quelle che subiscono i sensi di colpa e si sentono spesso inadeguate ed imperfette.
Stamattina era una di quelle mattine, e l’argomento ricade nell’ambito del rispetto dovuto ai figli di qualsiasi età: almeno, io lo faccio ricadere in quell’ambito, poiché per me tacere delle cose importanti ai figli o peggio mentire su determinati argomenti significa non rispettarli, non rispettare la loro intelligenza e sensibilità. E poco importa che la ragione di fondo sia per i relativi genitori che dire determinate cose significherebbe far preoccupare di più i figli, “perché i bambini sono ansiosi”: ritengo che i figli sono ansiosi se i genitori li rendono tali, perché più di qualsiasi altra cosa spaventa l’ignoto, il non sapere le cose e proprio il nostro comportamento omertoso scatena le loro paure.
Ma sono io strana perché racconto tutto ai miei figli? dall’operazione del nano ed i suoi problemi, all’operazione che ho dovuto subire io alla schiena allontanata per motivi di forza maggiore da casa per due mesi, fino all’adozione ed ai motivi che hanno necessitato l’arrivo di una sorellina “di cuore” e non una “di pancia”. Non so, avrei forse dovuto tacere, dovrei forse tacere la malattia che colpisce il nonno materno, o quella che ha portato via l’altra nonna paterna perché così potessero essere più sereni? se mi dovesse succedere qualcosa, se dovessi essere sottoposta ad un intervento più o meno importante, dovrei prepararli alla mia assenza, alle mie cure, alle mie cicatrici oppure dovrei fargli subire l’atmosfera pesante senza spiegazioni, cercando a parole che non rifletteranno certo l’umore di smorzare e sminuire la cosa?

D’altronde, mi sono anche spesso ritrovata commentata, dagli stessi familiari, perché trattavo il nano come un adulto, parlandogli come se lo fosse: lo faccio adesso che ha 7 anni, ma lo facevo già quando aveva 6 mesi e tentavo di inculcargli la necessità di non toccare le chiavi dei mobili, lo faccio con la gnoma che è in fase di crescita ed a due anni e mezzo è stata sbattuta in un altro universo, con un’altra lingua, con altri modelli familiari. Sempre, costantemente: loro hanno intelligenza, sensibilità che spesso sono superiori alle nostre perché più elastici e con meno sovrastrutture, perché limitarli ad un ruolo quasi di bambolotti? a subire le nostre decisioni e gli avvenimenti della vita, senza dargliene contezza e certezza nella spiegazione? Non sono d’accordo e la crescita e maturità di mio figlio stesso me ne danno ragione: affronta i suoi malanni, le terapie continue, gli esami più o meno invasivi, agocannule e lavaggi con un’estrema serenità e tranquillità, tutte queste cose fanno quasi più male a noi che li vediamo ed assistiamo dall’esterno che a lui che li subisce. Ed adesso che abbiamo il dubbio di un possibile nuovo intervento: dovrei tacerglielo perché non so se si verificherà, aspettando il ricovero d’urgenza e magari fargli digerire la notizia in mezza giornata o comunicargli adesso la possibilità, dandogli la possibilità di elaborare i pro, i contro, la certezza che i genitori sono consapevoli e cercano di avere la situazione sotto controllo, la serenità di sapere che se succede è per la sua salute e che ci avrà sempre vicini interessati e finalizzati a migliorare sempre di più la qualità della sua vita.

Non lo faccio per scaricarmi da responsabilità o sensi di colpa, lo faccio perché penso che sia mio dovere dargli gli strumenti emotivi e psicologici per poter affrontare tutti gli eventi della vita: quelli positivi che ci sorprendono e lasciano senza fiato, ma anche quelli negativi che ci potrebbero far soccombere nella tristezza, amarezza e rimpianti. Lo faccio perché i miei figli meritano il mio rispetto altrimenti non impareranno a darlo agli altri, della mia sincerità per capire che non bisogna mentire, del mio aiuto a capire per afferrare la bellezza della vita che affrontiamo ogni giorno.

Pubblicato da: carlas73 | 23 gennaio 2013

Nuove regolamentazioni Invalidità e L. 104/92

Circa un paio di anni fa sono cambiate le regole e le procedure per fare richiesta di Invalidità e per la L. 104/92: noi ci siamo capitati in mezzo sia per l’uno che per l’altro. Abbiamo ricevuto una lettera dell’INPS che ci convocava alla sede principale, non esattamente a ridosso della scadenza: inizialmente ci siamo chiesti se si trattasse dei famosi controlli per i “falsi invalidi”, ed in effetti durante la visita a parte raccogliere la documentazione sanitaria presentata, per la prima volta hanno chiesto al nano di mostrare la sua cicatrice. Dopo aver chiesto se si trattasse della visita di rinnovo o di una visita di controllo o che, le dottoresse quasi non sapevano cosa risponderci, ma alla fine ci è arrivata a casa la lettera di rinnovo dell’invalidità.
Per la L. 104/92, invece, è andata peggio: non ci è arrivata alcuna comunicazione per la visita di rinnovo, alla scadenza perciò non avevamo ancora fatto richiesta di rinnovo e ci siamo dovuti affrettare a seguire la nuova procedura senza sapere come.
Approfondiamo, quindi, la nuova procedura: innanzitutto bisogna farsi fare un certificato medico su supporto elettronico che il medico stesso deve inviare elettronicamente all’INPS. Già così le cose si complicano: non necessariamente i pediatri hanno la possibilità di fare certificati elettronici, generalmente si tratta dei medici degli adulti che lo devono fare per le certificazioni di malattia per il lavoro. Solo oggi, per aiutare una mamma ho trovato sul sito dell’INPS un utile strumento per ricercare i medici certificatori sul territorio: consiglio, quindi, a chiunque si trovi a dover fare nuova richiesta a cercare mediante questo strumento un medico sul proprio territorio a cui rivolgersi, sperando che anche se non è il proprio pediatra acconsenta ad inviare il certificato telematico all’INPS, magari su certificazione dei chirurghi curanti o del proprio pediatra di base.
Inoltre, almeno nel nostro caso, il medico curante nel 2010 ha chiesto 60€ per questo certificato, quando in realtà per il rinnovo non si dovrebbero più presentare i certificati dei medici curanti, ma solo la certificazione della permanenza dei requisiti di invalidità, prodotta da strutture pubbliche, quindi gratuitamente.
Successivamente, si dovrà fare la richiesta di invalidità e/o di L. 104/92: gli adulti la possono fare autonomamente se in possesso del PIN online dell’INPS, ovviamente nel caso di minori l’INPS non consente di creare un PIN dal sito, né consente di presentare la domanda da parte di uno dei due genitori in possesso di questa autenticazione sul portale. Perciò, bisogna rivolgersi ad un patronato o CAAF. A riguardo, visto che siamo prossimi ad una delle due date di scadenza, cercherò di informarmi se in una sede INPS territoriale si possa fare richiesta del PIN per un minore, poiché tramite il sito si può seguire la pratica e verificare il suo avanzamento.

Ormai, questa nuova procedura dovrebbe essere rodata e perciò nel caso di verbali in scadenza, il singolo non dovrebbe intervenire per fare una richiesta ex novo, ma dovrebbe aspettare la convocazione a visita di rinnovo da parte dell’INPS e/o ASL: certo, la prudenza non è mai troppa e quindi conviene sempre informarsi per tempo se effettivamente questa calendarizzazione sia stata programmata.

Contemporaneamente, si sta realizzando una mezza rivoluzione anche nell’ambito delle domande da presentare all’INPS per congedi straordinari, permessi giornalieri per assistere ai disabili e quant’altro: anche in questo caso mi sono trovata invischiata e più di una volta ho fatto delle “passeggiate” alla sede INPS perché nonostante la finalità dovrebbe essere quella di semplificare il tutto, a volte lo si complica. L’informatizzazione consente di presentare gran parte di queste domande, come anche quella di maternità ed altre, online, anche se non sempre sono previsti tutti i casi: per esempio, la possibilità di ottenere la maternità obbligatoria fin dalla partenza per il paese straniero nel caso di adozione internazionale è subordinata al passaggio da un funzionario INPS, la domanda di congedo straordinario (almeno quando l’ho richiesto io l’ultima volta) non consente di allegare il certificato del verbale della L. 104/92 durante la procedura online e bisogna presentarlo alla sede INPS, etc.

Colgo l’occasione di questo post per informare gli interessati dell’esistenza di un Decreto Ministeriale che stabilisce tutte le patologie per le quali è escluso l’accertamento della permanenza della minorazione civile o dell’handicap. Così come esiste un Decreto Ministeriale che stabilisce che il Megacolon, così come la presenza di una colostomia, sono cause di attribuzione dell’invalidità, in differenti percentuali in base alla gravità del caso ed a quanto influisce tale patologia sulla capacità lavorativa del soggetto. Da quel che ho capito, tale dichiarazione avviene dopo i 18 anni del soggetto: quindi, per tutte quelle persone che temono che la dichiarazione di invalidità del figlio/a influisca sulle possibilità future di svolgere lavori, si può trovare il modo per non farla rinnovare.
Solo recentemente, ho scoperto l’esistenza degli “sportelli malattie rare”, istituiti a partire da Centro Nazionale Malattie Rare: sono regionali e dovrebbero facilitare l’ottenimento di sostegno sanitario e psicologico per affrontare le patologie identificate come malattie rare dal D.M. 279/2001, dove si può trovare che la malattia di Hirschsprung è esente da ticket con codice RN0200. Se deciderò di avviare anche questo ulteriore filone e capirò meglio di cosa si tratta, potrete leggerne qualche approfondimento qui sopra. Chiunque ne abbia già sperimentato l’utilità e la validità, o meno, è invitato a raccontarne nei commenti a questo post.

Pubblicato da: carlas73 | 22 novembre 2012

L’intercontinentale

Il 29 aprile scorso, dopo nove anni dal viaggio di nozze che ci aveva portati in un altro meraviglioso paese il Sud Africa, ci siamo imbarcati con nano al seguito per un altro viaggio intercontinentale, Colombia, che stavolta veramente ci avrebbe cambiato la vita. Il viaggio aereo in sé non è risultato catastrofico: da Francoforte sono 11 ore di volo, che tra pasti, film e giochi trascorrono velocemente. L’impatto è stato devastante all’arrivo: il nano si è addormentato sull’aereo con il suo solito orario giornaliero, ma in Colombia era ancora ora di cena e non notte fonda, in un aeroporto pieno di gente, confusione ed una lingua che di primo acchito risulta ostica anche per chi la frequenta solo sui libri.
I primi due giorni sono trascorsi per riprenderci dal fuso orario e dal cambio di altitudine (Bogotà sta a circa 2600 metri sul livello del mare), con sveglia verso le 3 di notte ed il nano che non voleva rimettersi giù neanche per riposare, ma che riusciva piuttosto bene a reggere le giornate che si allungavano fino all’orario serale locale. Successivamente allo spostamento da Bogotà a Manizales su un Fokker 50 che ha circumnavigato il Nevado del Ruiz, poiché non raggiunge un’altitudine sufficiente per sorvolarlo, abbiamo avuto qualche altro giorno di adattamento per lo stravolgimento della vita da 3 a 4. In questa piccola cittadina ci siamo fermati una sola settimana, vivendo in appartamento, e muovendoci a bordo del taxi di fiducia: direi che ci ricorderemo sempre lo spettacolo che ci ha offerto al nostro arrivo dall’aereo con il cielo terso,  il sole e questa cittadina colorata arrampicata sulle montagne, il sali e scendi delle strade che uniscono i diversi quartieri della città, la cura dei piccoli giardinetti che spuntano come funghi ad ogni angolo di strada e che vengono disseminati di giochi per bambini sempre in perfetto ordine ed in buone condizioni, il verde intenso e spettacolare che ti accoglie non appena ti allontani dalla città e ti si allarga la vista sulla vallata della Zona Cafetera, la tristezza che ci hanno fatto i centri commerciali ed i negozietti un po’ spenti e retro dove abbiamo vista esposta in tutta la sua modernità una Palio bianca, le piante di caffè con il loro frutto colorato, la varia flora e fauna che abbiamo avuto l’ardire di andare a conoscere allo Zoo di Pereira di cui rimarrà a me più caro il tigrillo, la cenere del vulcano che ci ha accolto quando dopo un mese siamo tornati per ritirare la sentenza di adozione.

Ma la vita in questa cittadina è risultata stancante e deprimente, per noi genitori e soprattutto per il nano che ormai a 6 anni, completato il primo anno di scuola primaria, con un clima prepotentemente umido di acquazzoni quotidiani che rendevano impraticabili i giardinetti ed i giochi, allontanato dalla sorella che rifiutava la presenza di un antagonista, si rifugiava nei giochi elettronici e cercava disperatamente l’attenzione ed il gioco con gli adulti. Per questo, dopo una settimana siamo tornati a Bogotà: dove invece di un appartamento godevamo di tutte le comodità di una pensione, dove risiedevano altre famiglie con bambini adottati con cui abbiamo condiviso le lunghe giornate quando non c’era nulla da fare a parte uscire ed andare a passeggio per giardini se il clima lo consentiva o per centri commerciali se le piogge imperversavano, dove l’affetto e l’allegria della signora Maria ci ha fatto superare momenti di smarrimento e depressione, dovuti ai continui malesseri del nano, infettato pesantemente da batteri che solo da poco siamo riusciti a sconfiggere qui in Italia, dove abbiamo cercato anche di fare un po’ i turisti per la città ed i suoi dintorni. Ci rimarranno impresse: la cattedrale di sale con la sua Via Crucis e le sculture varie sotterranee, il museo di Botero con le sue opere d’arte immediatamente riconoscibili e quasi innocue e divertenti, anche qui i parchi fantastici e meravigliosi con giochi per bambini grazie anche al nostro domicilio in una zona ricca della città dove ci hanno addirittura stupito i bimbi su miniquad, la zuppa bogotana,  i colori e la particolarità della flora del Giardino Botanico, Usaquén ed il suo mercatino domenicale con le bancarelle di tè alla coca ed artigianato locale, Monserrate ed il suo sguardo sull’altopiano occupato dalla città nel suo dedalo di strade e palazzi, gli autobus su cui bisogna salire al volo e che non hanno fermate predefinite, i tassisti che guidano nel peggior caos e traffico mai visto, La Candelaria con i suoi palazzi stile coloniale spagnolo, la fattoria Panaca Sabana con le mucche di razza Simmenthal ed i biberon da dare ai cuccioli, la pulizia delle strade nonostante la Colombia sia considerata un paese del Terzo Mondo, le piste ciclabili della domenica e le bancarelle con le pannocchie arrostite con burro e sale.

Per spezzare la monotonia del periodo trascorso a Bogotà, abbiamo investito tempo e denaro in un viaggio di puro piacere nell’unica isoletta caraibica della Colombia: San Andrés. Giusto cinque giorni che ci hanno consentito di far conoscere il mare alla gnoma, inserire nel profondo i batteri negli intestini del nano, e godere dello spettacolo di un mare con colori e natura mai visti. La piccola isola avrà sempre un posticino nei nostri ricordi per: l’atterraggio dell’aereo a ridosso della costa quasi in acqua, la compatta comunità italiana che sta radicando le proprie abitudini e tradizioni in questo paese così lontano, la forte presenza creola con le sue aspirazioni indipendentistiche verso un modello giamaicano, il nostro capitano Kevin con la capigliatura rasta l’inglese strascicato ed il pancione di chi ha sposato un’italiana, il risotto agli scampi ricoperto di ketchup, la fortissima umidità che appannava le lenti della macchina fotografica e degli occhiali, le iguane blu e verdi di Johnny Cay e Haynes Cay, i pesci i granchietti e paguri dell’Acuario, il carretto e la sua velocità di crociera simile a quella di una bici, la sabbia bianca fatta per lo più di conchiglie sminuzzate.

Questo è il paese di mia figlia, questo è il paese che abbiamo conosciuto per incontrarla, questi sono i ricordi che le racconteremo quando sarà più grande e vorrà sentire da dove viene.

Pubblicato da: carlas73 | 9 novembre 2012

Miti e contraddizioni delle adozioni

Oramai completato il processo di adozione, ritengo di poter procedere ad analizzare questo particolare ambito sconosciuto ai più.
Iniziamo dalle maggiori contraddizioni che balzano agli occhi quando ci si avvicina alla procedura.

  • Una volta presentata la domanda al tribunale vengono richieste una serie di analisi e visite specialistiche, che possono essere diverse a seconda del tribunale ed ASL di appartenenza. A noi fu chiesto nel lontano 2009 visita psichiatrica e visita neurologica, in ambedue i casi, i dottori delle strutture pubbliche ci rivolsero domande che ritenemmo alquanto bizzarre: “fa uso di droghe?”, “soffre di disturbi nervosi?”, avrebbe fatto l’en plein l’aggiunta di “è un alcolista?” e “è un pedofilo?”. Nel caso in cui io faccia domanda di adozione, anche se facessi uso di stupefacenti o fossi un’alcolizzata, ma lo andrei a dire ad un medico? Lo specialista non ha alcun tipo di visita o strumento accurato per verificare che io stia dicendo baggianate, si va a fidare sempre così di tutte le persone che gli capitano davanti?
  • Dopo due anni da quelle visite siamo stati abbinati al Paese Colombia, che richiede nuovamente una certificazione medica, che deve essere anche poi legalizzata con l’Apostille de l’Aja: una volta tornati alla ASL a chiedere sulla base delle visite precedenti una certificazione di “sana e robusta costituzione”, ci hanno chiesto di fare tutte le visite ed analisi precedenti. Per ovviare al problema la soluzione è stata quella di farsi fare un certificato dal medico di base, e farne autenticare la fotocopia al Comune. Condivido il fatto che la situazione sanitaria si possa essere modificata nel frattempo, ma è pur vero che a quel punto potrebbe anche essere in forse la dichiarazione di idoneità ad adottare: quindi, o si restringono notevolmente i tempi tra i diversi passaggi, oppure deve fare fede la visita iniziale e non dovrebbe essere richiesto nuovamente uno spreco di tempo ed attività superiore a quanto necessario.
  • Non appena si cercano informazioni sull’adozione, sia nazionale che internazionale, vengono immediatamente fornite statistiche e percentuali alquanto deprimenti: il numero di adozioni nazionali copre solo una percentuale minima delle domande, e nel caso della adozioni internazionali i numeri sono comunque più alti, ma è anche più alto il numero dei casi “speciali”, di bambini che hanno problemi fisici oppure sono vittime di maltrattamenti (anche la semplice mancanza di cibo viene configurata in tale fattispecie) o abusi. In Italia ci sono parecchi minori affidati a case famiglie che magari non sono adottabili perché un qualche lontano parente li va a visitare una volta l’anno, mentre all’estero i bambini bisognosi di famiglia sono numerosissimi, per svariati motivi socio-economici del Paese specifico: le domande sono comunque elevate, ma spesso non si riescono ad incontrare con il numero dei minori, e talvolta il processo si dilunga talmente tanto e richiede un tale dispendio di risorse emotive innanzitutto, ed economiche in seconda battuta ma non meno rilevante, che le percentuali di rinuncia a posteriori, ma anche a priori, sono indubbiamente notevoli.
  • I tempi, d’altronde, sono piuttosto elevati, non solo a causa dell’organizzazione amministrativa straniera, ma anche della burocrazia italiana: noi per arrivare alla sentenza di idoneità all’adozione da parte del Tribunale, abbiamo dovuto attendere un anno e 3 mesi, dopo di che abbiamo impiegato circa un altro anno per dare il mandato ad un ente (poiché dopo tutta l’analisi e gli incontri con i servizi sociali locali, bisogna ripetere la stessa identica procedura o quasi anche con gli specialisti dell’ente), mentre l’abbinamento con nostra figlia è avvenuto dopo un altro anno circa, che comunque è sembrato veramente pochissimo.
  • Vorrei, inoltre, sottolineare che esiste tuttora una distinzione di trattamento tra adozione nazionale ed internazionale: l’adozione nazionale risulta completamente gratuita, mentre i costi di quella internazionale sono piuttosto onerosi, poiché ai costi amministrativi degli enti riconosciuti dalla CAI ed accreditati nei diversi paesi si devono sommare i costi di viaggio, vitto ed alloggio nel paese straniero del bambino, e per esempio nel nostro caso la permanenza in Colombia si è protratta per 45 giorni. Ci sono dei movimenti d’opinione che tentano di equiparare i due casi, così come sono parecchi anni che all’interno delle leggi finanziarie dello Stato, viene garantito un certo livello di detrazione al momento del pagamento delle tasse, ma come tanti altri benefici potrebbe essere soppresso negli anni a venire.

Adesso, passiamo a quelli che ritengo i miti dell’adozione, che talvolta fanno anche un po’ sorridere: quelle cose che implicitamente passano di sottecchi o vengono dette a bassa voce o vengono sottintese negli sguardi o in battute.

  • “Avete fatto una cosa bellissima!” oppure “com’è fortunata/o!”: chi lo dice che l’adozione viene fatta solo ed esclusivamente a scopo umanitario? anzi, se vogliamo dare indicazioni statistiche è sicuramente prevalente lo scopo puramente egoistico di chi non riesce o non può avere figli ma ha un desiderio di genitorialità molto forte. Perciò, non sono solo i bambini ad essere fortunati, ma soprattutto i genitori che hanno soddisfatto il loro bisogno di avere figli. Comunque, si tratta di due bisogni che si sono incrociati e soddisfatti a vicenda.
  • Solitamente, le coppie che hanno già figli naturali vengono guardate o si sentono come se usurpassero il diritto delle coppie senza figli: troppo complicato raccontare la storia che c’è dietro certe scelte, che può magari anche essere solamente il bisogno di aiutare bambini in difficoltà, e comunque non toglie niente agli altri, ma anzi è una risorsa in più per tutti quei bambini bisognosi di una famiglia.
  • “Ma capisce tutto?”: la cosa che stupisce è quanto questa domanda venga rivolta in uguali percentuali da single così come da genitori, come se non ricordassero più quanto i bambini siano delle spugne capaci di apprendere ed imparare tutto in brevissimo tempo, e questo indipendentemente dall’età, anche se ovviamente più sono piccoli meno saranno soggetti a sovrastrutture linguistiche e culturali.
  • La battuta precedente fa il paio con “ma dice qualche parolina in italiano?”: quante volte ci è stata rivolta questa domanda, e non solo all’inizio tornati da poco in Italia, ma anche adesso che sono sei mesi che sente parlare italiano. Nel nostro caso, guardiamo sempre l’interlocutore bene in faccia per capire se ci fa o ci è, visto che una bambina di 20 mesi, che sta cominciando a parlare nella sua lingua natale, comunque spagnolo, quindi con notevoli affinità linguistiche con l’italiano, non ci metterà molto a parlare in italiano, in un ambiente familiare in cui si dialoga parecchio. Ricordo che mio figlio ha cominciato a formulare le sue prime frasi a 2 anni e mezzo, la piccoletta già adesso dopo sei mesi con noi cerca di mettere insieme più parole per compilare una frase di senso compiuto, seppur limitandosi ad esplicitare i suoni delle ultime due sillabe di ciascuna parola.
  • “Però, è chiara/o!”: perché quando si parla di adozione in testa ci si crea l’immagine di un bambino/a di colore, infatti gli incontri con le psicologhe del nostro ente erano incentrati principalmente sulle problematiche vissute dai bambini “colorati”, e per due anni ci è stato detto che i loro bambini erano prevalentemente bambini colorati e scuri, per poi presentarci la foto di una piccoletta castana dalla carnagione chiara. Ed è ancora recente la sentenza che nega il decreto di idoneità a chi effettua discriminazioni in base al colore della pelle.

In ultima analisi, l’adozione è un viaggio bellissimo ed impressionante: perché si tratta di un viaggio dentro sé stessi e dentro la propri famiglia, di origine ed in fase di sviluppo, è un viaggio in posti sconosciuti e lontani dalle rotte del turismo, è un viaggio dentro l’infanzia negata e disattesa da parte di adulti che dovrebbero essere sostegno e colonne portanti della crescita dei minori, è un viaggio dentro i meandri di amministrazioni e burocrazie che ancora devono lavorare molto per avvicinarsi ai diritti delle famiglie e dei bambini, è un viaggio nei tabù e pregiudizi della nostra società che ancora non sanno accettare la diversità in tutte le sue sfumature.

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